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Martedì, 24 Ottobre 2017 19:45

La Chiesa nel centro di Roma parola d'ordine Accoglienza

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settore1Al centro dell’assemblea con il vescovo Ruzza, l’«esigenza non rimandabile» della «conversione pastorale», per entrare nei processi della trasformazione cittadina. Con un’attenzione particolare ai giovani e al mondo social.

Apertura delle chiese che sia un invito a fermasi, a dialogare; orari di preghiera che consentano una partecipazione attiva; percorsi che legano arte e preghiera, capaci di catechizzare a partire dalla bellezza e dalla ricchezza del patrimonio; sostegno alle famiglie in difficoltà con percorsi di spiritualità e formazione pedagogica; spazi aperti per attività giovanili; gemellaggi con realtà ecclesiali di periferia. È un’azione pastorale che riparte dal dialogo e dalla prossimità quella proposta dal vescovo Gianrico Ruzza al settore Centro della diocesi di Roma. Durante l’assemblea ecclesiale di lunedì 23 ottobre, il presule ha avviato un confronto per «discernere» ed «entrare nei processi della trasformazione» cittadina, «che sono anche quelli della conversione pastorale».
Cambia la città e con essa cambia il paradigma con cui ci si approccia alle difficoltà di un centro storico «molto anziano» che soffre di «gravi problemi sociali, non ultimo quello dell’integrazione delle varie componenti» che lo abitano. E ancora: la mobilità sempre più accelerata, l’importanza dell’orario di lavoro e il nuovo rapporto col territorio «ci spingono a dire che» la conversione pastorale è «un’esigenza non rimandabile». A patto, però, che si superino due posizioni contrapposte: «L’accomodamento allo spirito del tempo, che potrebbe indurci ad accontentarci dell’esistente» e il «rischio di una chiusura clericale nel “si è sempre fatto così”».

Nel nuovo scenario cittadino, il modello che si impone è quello della «dis-locazione». I protagonisti sono «il pendolare, il turista, l’uomo d’affari». Si creano nuovi luoghi di aggregazione, spesso al di fuori del quartiere in cui si vive. Per il vescovo Ruzza, il «perno della conversione del paradigma pastorale sarà l’accoglienza». Si stima che ogni giorno nel centro storico di Roma siano in transito circa un milione di persone. «Non sarebbe auspicabile, avendo le chiese aperte nel maggior numero di ore possibile, immaginare una proposta di disponibilità al colloquio per rendere visibile la prossimità?».

La parrocchia-tipo, in questo passaggio storico, dovrebbe essere «aperta al territorio e a coloro che la avvicinano»; una «comunità umile, pronta ad ascoltare tutti, anche e soprattutto i piccoli e i poveri, che hanno una vera cattedra da cui possono insegnare nello spirito e nello stile evangelico». Accogliendo, ha suggerito il presule, «avremo la possibilità di trasformare il flusso di “passanti” in occasioni di dialogo»: sarà interessante per il passante non credente «che entra a vedere il Caravaggio incontrare un credente che lo accoglie e gli spiega il percorso culturale e umano del Merisi. Così come sarà interessante per il credente che sta all’ingresso di una chiesa artistica ascoltare le “proteste” e le provocazioni di un non credente polemico ma curioso».
Non si può rinnegare il proprio passato e «la bellezza che esso comporta»; anzi, «bisogna offrire questo tesoro ai nostri fratelli». Da questo punto di vista, Roma è «un santuario a cielo aperto». Nel settore Centro insistono edifici ecclesiali «unici e irripetibili, di ricca memoria non solamente artistica». Roma «non è un museo, è un santuario, una casa di preghiera in cui anche il viaggiatore che passa occasionalmente si fa viandante e può capitare che una sorella o un fratello lo accolgano al suo ingresso in chiesa e gli offrano la possibilità di condividere e pregare insieme».

E poi c’è la provocazione quotidiana di un centro storico abitato dai poveri: «Dobbiamo abituarci – ha sottolineato il vescovo Ruzza – a una città che esplode di rabbia e di insofferenza» in cui «la solitudine, l’abbandono, la desolazione sono ormai le caratteristiche di un vissuto urbano che appare sempre più mortificante». Non dobbiamo «negare che la sofferenza dei nostri fratelli sia in aumento: quante persone non hanno dove dormire. Senza contare l’assenza delle pubbliche istituzioni che postula la necessità di un “ufficio di supplenza”». Da questo punto di vista «è entusiasmante vedere come le nostre parrocchie facciano tutto il possibile per venire incontro alle necessità di chi chiede. Proprio perché accoglie i poveri e li sostiene, la comunità cristiana di questa città appare credibile: la Chiesa del centro vuole essere parte integrante e protagonista di questo segno di evangelizzazione».
Infine, monsignor Ruzza ha citato i giovani, che saranno protagonisti del prossimo Sinodo. Sono presenti in gran numero nel fine settimana Trastevere, a via del Corso, a Monti, Campo de’ Fiori nelle ore della movida. «Dovremmo provare una sana inquietudine pastorale» pensando a loro. Dobbiamo «conoscerli, accoglierli, comprenderli e amarli per come sono, cercando di offrire proposte concrete e credibili, che intercettino il loro linguaggio». Un linguaggio improntato prevalentemente dal mondo «social e digital. Potremmo provare a pensare che i social network non sono il demonio, ma possono essere degli attivatori sociali».
Dopo il primo incontro di ieri, nel mese di novembre il settore Centro approfondirà le tematiche proposte da Ruzza in incontri di zona pastorale, mentre a gennaio (probabilmente il 19) si tireranno le prime somme per una sintesi dei lavori. «Abbiamo la possibilità e la responsabilità di sporcarci le mani e di coinvolgerci con efficacia – ha concluso Ruzza -. Sarebbe grave se ciò non avvenisse».

Di Christian Giorgio-Avvenire Roma7


24 ottobre 2017
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