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itendees
Sabato, 13 Luglio 2019 08:33

Legge che slega

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commento 14-07-19Bastonato dal rifiuto del suo popolo, disteso fuori le mura di Gerusalemme tra l’indifferenza di coloro che dovevano riconoscere il suo volto messianico. In fondo, nella parabola ad un primo livello, Gesù dice di sé carico dell’umana debolezza in attesa di chi si accorga di lui. Ma dalle sue piaghe siamo stati salvati. Sulla strada che scende da Gerusalemme o che sale da Gerico a Gerusalemme, c’è da fare una sosta sincera nel nostro pellegrinaggio umano e spirituale. Riconoscere che l’uomo ferito mi appartiene, che Dio se ne fa carico, che Gesù il santo, è il buon samaritano piagato, che si prende cura della mia umanità che ha pagato con la sua vita e mi ha accolto nella sua casa. Allora la domanda posta a Gesù è giusta e sbagliata allo stesso tempo. In effetti, egli risponde con quanto il Dottore della sapienza di Israele avrebbe voluto sentire da un Rabbi religiosamente corretto: Amare Dio ed il prossimo come se stessi. Questo dà pienezza di vita. Ma dove sta il superamento che chiede Gesù. Non basta sapere la legge, non basta pronunciarla nella bellezza del culto, occorre agirla. Gesù sale a Gerusalemme per dare compimento alla legge nel suo sangue, il sangue della nuova ed eterna alleanza. In questo modo straordinario Dio si lega (legge) alla nostra umanità, pacificando con la croce del suo Figlio il cielo e la terra. Così comprendiamo l’affondo che Gesù fa scavando nel cuore di chi ha risposto bene. Quella parola è vicina a te come il prossimo e vicino a te, non lo andare a cercare nell’immaginario dei casi possibili, ma nella carne pulsante e sofferente che è prossima a te. Allora il racconto di Gesù che altro non è, se non una lunga domanda in prosa, interpella ed apre numerose risposte. Tra l’andare oltre e la compassione c’è il mare dell’indifferenza. Questa chiede Gesù di superare, di attraversare a guado quando si porta sulle labbra il nome di Dio e nelle mani la sua Parola. Quella Parola è carne di Cristo e del fratello, posta sulla tua bocca e nel tuo cuore. La compassione ci viene descritta da chi la prova, come una fitta alla bocca dello stomaco che costringe a fermarsi. Eccolo il nostro Dio che si ferma, si china con i crampi allo stomaco perché non accetta il dolore e la morte. Benvenuti nella locanda dei pellegrini feriti, alla scuola dell’incondizionata compassione del primogenito di coloro che risuscitano dai morti.

Davide Carbonaro
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