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Domenica, 27 Settembre 2020 09:59

Amen sinfonico

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L’Apostolo Paolo quando scrive  alla comunità di Corinto afferma  che: “Il Figlio di Dio, Gesù Cristo che abbiamo predicato tra voi, non fu ‘si’e ‘no’, ma in lui c’è stato il ‘si’. Ed in realtà tutte le promesse di Dio in lui sono divenute ‘si’. Per questo, attraverso il Figlio, sale a Dio il nostro Amen”. Abbiamo bisogno di prendere più consapevolezza dei nostri amen.  Penso agli amen detti ogni  giorno nelle relazioni di coppia, tra genitori e figli, nella vita relazionale delle nostre società complesse dove l’amen si misura con chi ha altre intenzioni che, non hanno certo il sapore del bene. O l’amen detto da chi accoglie il dolore suo ed altrui come un terreno fertile, una vigna feconda che produce buoni frutti. Oggi ci viene chiesto che operai essere nella vigna del Signore; se operai della fatica e del reddito, o coltivatori della gioia e dell’abbondanza,  ad immagine del creatore  che fin dall’inizio ha posto l’uomo nel suo giardino.  Che bella una parabola che ha figli è già di per sé feconda nel suo narrare. La formulazione di un discorso  in parabole, ha la funzione di smascherare le intenzioni negative del cuore e provocare il cambiamento. Quei due figli  con in cuore sospesa la possibilità di dire si o no a chi ci interpella sia,o noi. Spesso ci troviamo a fare il male che non vogliamo rispetto al bene che vogliamo. Gesù conosce ciò che è nel nostro cuore, in noi convivono i due figli uno ribelle l’altro servile. Ciò che vi alberga è la comune immagine del padre,  proprietario della vigna. Per questi figli il Padre è un estraneo che sa dare solo ordini. Non è forse la falsa immagine di Dio che alberga nei nostri cuori? Non è il filtro che mettiamo alla nostra religiosità del contratto? Qualcosa però interviene nell’altalena dei si che diventano no ribelli e dei no che diventano dei si servili. Gesù introduce in questo circolo vizioso la parola “pentimento”. Ciò implica che in qualche parte dell’intelligenza umana rimane sedimentata una volontà di bene  che spinge ad uscire da se stessi, dalle proprie convinzioni o disinteressi. Pentirsi implica il cambiamento, l’evangelica conversione.  Questo atteggiamento nuovo disinnesca  la volontà egoistica  e la trasforma in obbediente collaborazione al bene mio e degli altri, ai buoni frutti che sono il risultato del lavoro paziente e costante nella vigna che mi appartiene. Così, Dio preferisce  qualche volta le nostre impuntature o le nostre riserve che ci fanno crescere e cambiare, più che le facili devozioni di facciata che imprigionano il cuore e paralizzano la vita. Non ci chiede di essere pubblicani o prostitute, ma domanda di accogliere la fatica e la gioia del cambiamento di cuore.

Davide Carbonaro

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